Da qualche anno il debito pubblico dello Stato viene sempre più spesso chiamato con il termine “SOVRANO”.
Niente di più beffardo e
fuorviante, proprio oggi che molti stati europei, soprattutto quelli del Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) caduti
sotto il controllo di Bruxelles, stanno perdendo autonomia e sovranità rispetto alla tracotanza, potenza e prepotenza dei mercati
finanziari.
Non può sfuggire, infatti, che, seppur lentamente ed in un modo strisciante, l’effettiva sovranità di questi stati è di
giorno in giorno sempre di più trasferita dai poteri politici ai capitali e, soprattutto, ai capitali finanziari, i quali sotto certi
aspetti sono paragonabili al capitale usuraio per le continue richieste di aggiustamenti strutturali, di taglio al welfare e di privatizzazione/svendita
del patrimonio pubblico, tipiche del comportamento degli usurai con le loro vittime, ricattate e spinte a vendere il proprio patrimonio
e/o a chiedere aiuto ad amici e parenti, fino al collasso o al suicidio.
La cosa sempre più strana è che la maggior parte dei governi
europei sembrano allineati ad obiettivi neoliberisti e ben disposti a cedere pezzi delle sovranità nazionali ad una Europa che non
c’è, facendo intendere alla loro gente che questa è l’unica strada per risolvere la crisi generata dal debito pubblico.
Cosicché l’angoscia
del debito pubblico e della crisi fa buon gioco per poter riformare in senso neoliberista l’economia degli stati, come è successo
già in Grecia, Portogallo, e Irlanda, con le conseguenze sotto gli occhi di tutti, e da ultimi in Spagna e Italia.
Ma il giochetto
non è riuscito con l’Islanda, fuori zona euro, dove la popolazione si è dimostrata mal disposta a pagare un debito fatto da altri
e dove il capo del governo Haarde, processato per il tracollo economico, è stato condannato da una corte di Reykjavik per non
aver verificato i pericoli che lo Stato stava correndo. Ma quasi nessuno ne parla.
A paesi che avrebbero avuto bisogno di piccole terapie
economiche per risollevarsi sono state inverosimilmente propinate le solite ricette neoliberiste fatte di tagli progressivi ai bilanci
pubblici, ai servizi sociali, alle pensioni, ai salari, agli investimenti, ecc.
Terapie queste che avrebbero dovuto risolvere
la crisi e abbattere il debito pubblico.
Invece no. La crisi si è allargata ed il debito continua a crescere vistosamente.
Un debito destinato a consolidarsi e a regnare come unico, vero e incontrastato sovrano di un popolo beffato dai suoi rappresentanti politici, i quali, per il bene della nazione, benché si siano rivelati incapaci a formare un governo per fronteggiare la crisi, quasi tutti insieme appassionatamente, ne sostengono uno tecnico, molto esperto in faccende finanziarie e bancarie, nell’attesa di riproporsi come nuovi salvatori della patria o di tornare a casa con il loro ben meritato e corpulento vitalizio.