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a cura di Sergio Pacillo
(pagina creata nel 2008
e ricostruita il 31/05/2013
dopo un attacco hacker)
 
L'economia è l'uso razionale del danaro e di qualsiasi altro mezzo, che mira ad ottenere il massimo vantaggio con il minimo sacrificio.

I problemi economici hanno attratto l'attenzione di filosofi antichi come Platone e Aristotele, scrittori romani come Plinio il Vecchio e Catone, teologi come s. Tommaso d'Aquino e s. Berdardino da Sinea, che hanno condannato gli aumenti ingiustificati dei prezzi ed i tassi usurai.

Nell'ultimo secolo hanno dominato la scena politica la teoria marxistica, caratterizzata dalla pianificazione e dalla socializzazione dei mezzi di produzione, e quella di keynesiana, che ha creato una vera e propria rivoluzione in materia di moneta e credito, di reddito sociale e risparmio, consumi e investimenti.

Ultimamente in Italia viene attuata una nuova teoria di tipo marxistico-keynesiana:
la stato-privatistica, secondo la quale lo Stato, per far fronte ai suoi debiti, (s)vende i suoi beni a gruppi di privati, che vanno ad operare in assenza di concorrenza.
Cosicchè quest'ultimi si trovano a trarre ingenti profitti da beni ottenuti a basso costo ma realizzati nel passato a spese dei contribuenti.
le privatizzazioni

L’Italia, pur essendo fondata su una delle migliori forme costituzionali al mondo, soffre molto di democrazia mancata e da qualche ventennio è sempre più mal governata da un complesso di forze politico-economiche, che, pur essendo formalmente elette dal popolo, lo rappresentano solo marginalmente.

E da un ventennio è in continuo aumento il divario tra ricchi e poveri e tra chi vanta di star bene e chi sta male.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In un marasma generale fatto di pressappochismo, incompetenza, interessi personali e disordine, si vanno invocando nuove regole, forse con il mal celato intento di confermare i privilegi ai forti tralasciando sempre di più i diritti ai deboli.

Sono profondamente convinto che per ridurre questi divari si debbano bloccare le privatizzazioni.

A giustifica di quest'ultime si adducono gli sprechi della pubblica amministrazione.

Niente di più errato, perché gli sprechi, per quanto siano sempre da condannare ed evitare, ritornano nel tempo, insieme alla spesa, nel flusso circolare famiglie-imprese, a vantaggio complessivo della produzione.

Viceversa, in un regime di gestione privatistica dei servizi pubblici primari, come accade per le FERROVIE, l'ENEL, le POSTE, le AUTOSTRADE, la TELECOM, che agiscono per lo più in assenza quasi assoluta di concorrenza, non tutti i profitti delle aziende si trasformano in acquisti di beni e servizi; cosicché diminuisce la produzione e aumenta la disoccupazione o, perlomeno, essendo il lenzuolo sempre lo stesso, si può avere anche l'impressione che si riduca la disoccupazione, ma in realtà nel frattempo diminuisce anche il potere di acquisto dei salari, soprattutto i più bassi.

Questo perché "questi ricchi potenti", capitalizzando spesso tesori inimmaginabili, esportano danaro e lo prestano allo stesso Stato, per esempio sotto forma di BOT o CCT, contribuendo ad aumentare il deficit pubblico, che comunque, per quanto dir si voglia, rimane un problema marginale rispetto a tutti gli altri.

Così con l'avvio dell'operazione Mani Pulite e quindi con la scusa di dover provvedere a moralizzare lo Stato, ormai con una opinione pubblica cotta a puntino, nel lontano 1992 si diede l'avvio alla vendita stracciata di molti beni dello Stato, tutti realizzati con i soldi dei contribuenti.

C'è addirittura chi parla di un incontro al vertice che avvenne il 2 giugno 1992 sul panfilo Britannia al largo di Civitavecchia, tenuto da questi potenti per svendere l'Italia.  

E poi, se la gestione di un servizio pubblico primario rende tanto ai privati, perché non dovrebbe rendere altrettanto anche allo Stato, che potrebbe così ridurre la pressione fiscale?

Troppo spesso poi, addirittura, questo Stato sostiene finanziariamente i privati concorrenti, senza nemmeno pretendere in cambio che siano assicurati i servizi essenziali ai ceti più sfortunati, giustificando, per esempio, il taglio dei "rami secchi" nelle ferrovie e la chiusura dei poliambulatori perché "non più funzionali".

Paradossalmente si vuol far continuare a credere che per risanare il bilancio dello Stato si devono continuare a (s)vendere le aziende pubbliche ai privati, come è accaduto ultimamente con con l'ALITALIA!

Cosicché, ristretti i mercati interni, aumentati i prezzi, accresciuta la domanda di lavoro, diminuito il costo della mano d'opera, con la magra consolazione che la moneta europea gode di buona salute, non stanno nemmeno più sicuri quei ceti medi che oggi, vivendo chiusi nel proprio guscio, s’illudono di fare una vita spensierata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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